Che cos’è
La “sindrome del burnout” è una sindrome da stress vera e propria. Il termine inglese burnout significa letteralmente “bruciarsi” e indica un progressivo esaurimento di energie. E’ riconosciuta come una tipologia specifica di disagio psicofisico connessa al lavoro, la quale interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti che sono impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano relazioni interpersonali.
Questa problematica è stata descritta per la prima volta da H. Freudenberger e da C. Maslach i quali fecero le prime osservazioni su questo fenomeno dopo il 1970 all’interno di un reparto di igiene mentale in cui avevano notato su alcuni operatori sintomi caratteristici di questo problema.
Il burnout colpisce soprattutto persone che svolgono le cosiddette professioni d’aiuto o “helping professions” e che operano in ambiti sociali, sociosanitari e sanitari (medici, psicologi, assistenti sociali, infermieri, fisioterapisti) ma anche professionisti che entrano continuamente in contatto con persone che vivono stati di disagio e di sofferenza (agenti delle forze dell’ordine, poliziotti, vigili del fuoco, ma anche avvocati, consulenti fiscali, insegnanti ed educatori, operatori del volontariato).
Queste professioni implicano un’ importante relazionalità e spesso un coinvolgimento emotivo profondo con il disagio dell’utente.
La conseguenza di ciò è che queste tipologie professionali, facendosi carico eccessivo delle problematiche dell’utenza, a volte sviluppano un lento processo di logoramento psicofisico, dovuto sia alla mancanza di energie, sia all’incapacità di gestire o di scaricare lo stress che viene accumulato durante il lavoro.
Nella mia esperienza professionale chi è affetto da burnout è fondamentalmente una persona “generosa”, capace di farsi carico dei problemi altrui (e dell’organizzazione cui appartengono) e dotata di profonda empatia. Questa generosità a volte è una caratteristica animica strutturale della personalità, a volte deriva da un eccessivo senso del dovere e della responsabilità (schemi comportamentali acquisiti nella storia personale e che il processo terapeutico mette in luce e gradualmente scioglie).
Fatto sta che chi è affetto da burnout pare intrappolato, non riesce più a “distanziarsi”, cioè a erigere i “giusti paletti o confini” tra sé stesso (l’energia necessaria per la propria salute e vita privata) e l’energia dedicata alla vita lavorativa.
Sintomi
L’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) fornisce un elenco di sintomi per riconoscere e diagnosticare questa sindrome. Esistono scale specifiche per definire la sindrome (importante la scala di Maslach) e diagnosi differenziali rispetto ad altre forme di ansia ed esaurimento psico-fisico, le quali non dipendono dal lavoro. In particolare la sindrome del burnout si manifesta su tre livelli:
- Sensazione di depauperamento di energie e di esaurimento fisico ed emotivo. Sentimento di ridotta realizzazione personale, frustrazione e insoddisfazione. Sintomi psicosomatici, insonnia, depressione, depersonalizzazione.
- Aumento della distanza mentale dal proprio lavoro con presenza di sensazioni di negativismo o cinismo relativo al lavoro stesso. Il soggetto tende a sfuggire l’ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso, lavora con meno entusiasmo e manifesta ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali si dovrebbe occupare (e che in una prima fase di vita lavorativa avevano catalizzato con entusiasmo e idealismo le sue energie fisiche ed emotive).
- Diminuita efficacia lavorativa. Calo della performance lavorativa, calo della qualità del servizio e della soddisfazione lavorativa.
Se i disagi della persona iniziano e vengono avvertiti dapprima nel campo professionale-lavorativo, questi si trasferiscono facilmente anche sul piano personale: abuso di alcol, di sostanze psicoattive e il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout.
In base a questi elementi – e al riconoscimento dell’importanza del lavoro come fonte di benessere per la nostra salute mentale – il burnout oggi diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d’aiuto, ma sindrome possibile in qualsiasi organizzazione di lavoro.
L’O.M.S oggi riconosce il burnout come “fenomeno occupazionale” e come “sindrome” che è risultato di condizione di stress cronico, sul luogo di lavoro, non ben gestita (definizione data nella nuova revisione dell’International Classification of Disease).
Cause
Le cause del burnout sono molteplici: in gran parte riguardano problematiche inerenti il luogo di lavoro, la comunicazione, l’organizzazione e la sicurezza al suo interno.
L’O.M.S. segnala alcuni fattori di rischio collegati al burnout:
- politiche sanitarie e di sicurezza inadeguate;
- comunicazione e gestione insufficiente;
- partecipazione limitata nel processo decisionale; scarso controllo sulla propria area di lavoro;
- bassi livelli di supporto ai lavoratori;
- orari inflessibili;
- compiti e obiettivi poco chiari e definiti.
A questi problemi si aggiungono un sovraccarico di lavoro, attività inadeguate rispetto alle competenze del lavoratore, carichi burocratici, il mancato riconoscimento (anche economico) del risultato e dei meriti, la presenza di rischi alti (come per i soccorritori), mobbing e molestie psicologiche.
Supporto e terapia in questo studio
Se da una parte le cause del burnout vanno ricercate in problematiche riguardanti la comunicazione, l’organizzazione e la sicurezza nel luogo di lavoro, in parte è il lavoratore stesso o il professionista che deve trovare all’interno di sé la capacità di gestire le emozioni vissute nel luogo di lavoro (senza rimuoverle o reprimerle). Deve trovare la possibilità di scaricare lo stress e la stanchezza accumulate, imparando a recuperare in breve quelle risorse ed energie necessarie per trovare equilibrio e armonia nella sua vita privata e lavorativa.
Per questo, in questo studio, si dà molta importanza a una prima fase di sfogo o catarsi della sofferenza e del disagio. Oltre all’aspetto catartico, la condivisione della sofferenza con una persona che ascolta e capisce dà significato e valore alla sofferenza stessa. Pensiamo ad esempio a medici e infermieri che ogni giorno sono in contatto con la malattia e con la morte non solo di adulti, ma anche di bambini! Questi professionisti toccano quotidianamente lunghezze d’onda archetipica, venendo in contatto con i drammi e gli interrogativi più profondi dell’umanità. Eppure nelle nostre società manca uno spazio-tempo in cui è possibile elaborare la sofferenza, capendone il valore e il significato (i gruppi Balint all’interno delle strutture ospedaliere avrebbero proprio questa funzione).
In un secondo momento vengono proposti esercizi di consapevolezza e mappatura mentale per chiarire i propri ambiti di vita e rafforzare l’integrità e l’autostima. Vengono insegnate Tecniche di rilassamento e antistress per recuperare le energie, Strategie di miglioramento della comunicazione, ma anche di assertività per trovare il giusto equilibrio tra sé e gli altri, siano essi utenti, colleghi, superiori o datori di lavoro.